I capelli nella storia
![]() Michelangelo, "Mosè" |
Un capo ornato con una chioma vigorosa è sinonimo di robustezza fisica, virilismo e potenza, la calvizie, d’altra parte, si associa spesso a condizioni di profondo disagio. Il significato magico attribuito ai capelli si riscontra già presso gli antichi Egizi, che usavano seppellire i capelli tagliati nel corso di speciali cerimonie, per evitare che persone malvage se ne impadronissero per compiere del male, attraverso la magia, al possessore originario. |
Nella cultura biblica, la leggenda vuole che la forza di Sansone risiedesse nella sua folta chioma. Quando infatti questa gli venne tagliata a tradimento da Dalila, Sansone diventò un comune mortale. In Grecia, madre della cultura occidentale, tutta la produzione artistica del periodo classico raffigurava atleti, dee e personaggi mitologici dai capelli morbidamente acconciati. |
![]() Rubens, "Sansone e Dalila" |
![]() Giulio Cesare |
Svetonio raccontava che il grande Cesare fosse solito pettinarsi i capelli rimasti verso la fronte per nascondere la calvizie incipiente, le malelingue criticavano il suo vezzo di camuffare la calvizie attraverso tinture del cuoio capelluto e sostenevano che portasse la corona d’alloro per coprirla. |
Il cristianesimo antico sosteneva la pratica della chierica per rendere i monaci sessualmente non attraenti, esprimendo in tal modo umiltà ed obbedienza religiosa. Ancora oggi è viva l’usanza di rasare il cranio da parte di coloro che intraprendono un cammino ascetico. |
![]() S. Francesco" |
![]() Luigi XVI, "Re Sole" |
Nel settecento, le parrucche incipriate dei nobili costituivano un’usanza vezzosa che eliminava l’incombenza dell’attenta igiene personale in quei secoli che conoscevano uno scarso uso dell’acqua e simboleggiava il potere e lo status di chi poteva sfoggiarla. Un retaggio di tale usanza resta a lungo nei tribunali, dove l’autorità porta la parrucca. |
La chioma viene assunta come mezzo di comunicazione sociale dal movimento ottocentesco della “Scapigliatura”, ai “capelloni” degli anni settanta, alle eccentriche creste dei punk, fino alle teste rasate dei nazisti. |
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Presso alcuni popoli, la perdita dei capelli assume un’accezione negativa.
Nella cultura orientale, la calvizie veniva disprezzata come segno di perdita di virilità. Nella regione indiana del Punjab, solo i malfattori portano capelli corti. La scotennatura è stata a lungo una consuetudine della prodezza militare, prova visibile del coraggio personale, della vendetta compiuta. I romani tagliavano a zero i capelli dei prigionieri, delle adultere e dei traditori. Gli antichi popoli germanici rasavano i delinquenti come segno di disprezzo. Caratteristica degli indiani d'America, che la praticavano sul nemico defunto, affinché il Grande Spirito non potesse afferrarlo per i capelli e condurlo nei ‘pascoli della pace eterna’, la scotennatura era praticata anche dagli Sciiti, dai Giudei e dai Visigoti. Più recentemente, i francesi rasavano i capelli delle donne che erano compagne degli occupanti tedeschi dopo la liberazione della Francia nella Seconda Guerra Mondiale.
Le cure mediche
La medicina si è occupata attraverso i secoli del problema della calvizie. Uno dei più antichi medici specialisti, racconta Erodoto (484-425 a.C.), era il "medico della testa" egiziano, che curava le malattie del cuoio capelluto. I medici egiziani erano infatti particolarmente attenti a questo problema e il Papiro Ebers (II millennio a.C.) raccoglie una serie di ricette dettagliate: gli Egiziani usavano grasso che, colando sui capelli, avrebbe fatto le veci del gel, o ancora sfregavano vigorosamente la testa con un intruglio di datteri, zampe di cani e criniere di asino seppellite e cotte nell'olio, o miscelavano parti uguali di grasso di leone, ippopotamo, coccodrillo, oca, serpente, ibis e le applicavano direttamente sulla testa calva. Ippocrate aveva osservato come gli eunuchi non diventassero calvi. I Romani, come accennato per Giulio Cesare, si spalmavano sul cranio unguenti colorati. Ai tempi di Commodo era particolarmente di moda il colore biondo, detto "alla germana", tanto che lo stesso imperatore usava cospargersi il capo di polvere d'oro. Altrettanto in voga erano anche le misture di laudano e mirra e le parrucche, che nel tempo divennero sempre più elaborate. Plinio, nella sua Naturalis historia, forniva la ricetta per la ricrescita dei capelli, indicando di "strofinare con della soda la parte dove i capelli erano caduti, quindi applicare un infuso di vino, zafferano, pepe, aceto, laserpizio e sterco di topo".
Chi non riusciva a contrastare la perdita dei capelli, si dilettava con letture che la elogiavano, come quella di Sinesio di Cirene (Libia, IV-V secolo d.C.), dal titolo “Elogio della calvizie”, che invitava i contemporanei a sottrarsi ai dogmi della bellezza. Formulazioni di fine ‘600 comprendevano foglie di mirto, corteccia di pino, vino bianco, olio di semi di ravanello, bacche di ginepro, assenzio, radici di felce, olio di linosa, mandorle schiacciate, crusca di frumento e polvere di mastice. Una prescrizione dai registri dell'esercito tedesco includeva come ingrediente la saliva di cavallo.